venerdì 30 gennaio 2009

Music for you

Direi che è la giusta conclusione
per questa settimana 'emotivamente' difficile.

Una versione di Barry White, sempre bellissima
Buon Ascolto

KM sad



Just the way you are
Billy Joel - The stranger, 1977

Don't go changing, trying to please me
You never let me down before
I don't imagine you're too familiar
And I don't see you anymore
I would not leave you in times of trouble
We never could have come this far
I took the good times, I'll take the bad times
I'll take you just the way you are

Don't go trying some new fashion
Don't change the color of your hair
You always have my unspoken passion
Although I might not seem to care

I don't want clever conversation
I don't want to work that hard
I just want some someone to talk to
I want you just the way you are.

I need to know that you will always be
The same old someone that I knew
What will it take till you believe in me
The way that I believe in you.

I said I love you and that's forever
And this I promise from my heart
I could not love you any better
I love you just the way you are


Versione Billy Joel

giovedì 29 gennaio 2009

ma...son tornati??!??

passeggiando in un tardo pomeriggio invernale,

mi imbatto in questo manifesto, che non ho potuto non fotografare.

PAURA!
ma chi sono?
sapete qualcosa?
secondo voi...son tornati?

ma perchè in questo paese non si riesce ad andare avanti?
rimaniamo incollati al vecchio
ai vecchi!

e mentre noi indifferenti facciamo finta di niente,
fortunatamente dall'altra parte del mondo qualcuno ha cominciato il suo lavoro.
e speriamo tutti che continui!

Finora, a neanche 10 giorni dall'inizio dei lavori ha:
1. Chiuso il carcere di Guantanamo
2. Riattivazioni fondi ricerca cellule staminali (e la chiesa si incazza, olè!)
3. Ambiente: provvedimenti per auto più..ecologiche!


vai presidente!


KM

mercoledì 28 gennaio 2009

La rubrica di Ele

Il Caso Jane Eyre – Jasper Fforde
Marcos y Marcos

Jasper Fforde è un signore gallese che, dopo anni di esperienza come autore televisivo e dopo circa 67 rifiuti da altrettanti editori, finalmente, verso la fine del 2000 pubblica Il Caso Jane Eyre.

Il successo, mondiale, è immediato ed è confermato dalle opere successive dell’autore – Persi in un buon Libro; Il Pozzo delle Trame Perdute fino al recentissimo C’è del Marcio.

Difficile definire il genere in cui si inquadra Jasper Fforde: è un po’ mystery e un po’ fantasy, con il giusto tocco di humour inglese e Jules Verne sullo sfondo.
Il tutto condito da una incredibile capacità narrativa, da un linguaggio sorprendente e da trame avvincenti.

Veniamo al libro.

Il caso Jane Eyre è una specie di 1984 al contrario e, al tempo stesso, è il ribaltamento del Magico Mondo di Amelie.

E’ ambientato negli anni Ottanta, ma sono anni Ottanta in cui l’ingegneria genetica ha permesso di resuscitare e modificare specie animali e umane (!!!) ormai estinte, dove si viaggia nel tempo e dove il trasporto aereo avviene con il dirigibile...

Due sono i beni più preziosi in questo futuro passato: i libri, tant’è che la protagonista, Thursday Next, di mestiere fa la detective letteraria e le lotte di piazza non sono tra rossi e neri ma tra baconiani e marlowiani, e – ovviamente – il tempo.

Le avventure umane, sentimentali e professionali di Thursday si snodano sullo sfondo dell’eterna lotta tra il bene e il male e dell’eterno desiderio del potere di controllare ogni aspetto della vita umana.
Incontriamo così la Goliath Corporation, che in questo mondo parallelo, trasversale, fatto di sempre e di ovunque, controlla tutto – o quasi.
Tutto cioè, tranne il libero arbitrio e la volontà.
Tutto vuol dire tutto.
Televisioni, stampa (..ops…), tempo e trasporti, la clonazione degli animali domestici (comunemente un dodo geneticamente resuscitato) e il fondamentale mercato del formaggio.

L’altro grande avversario – questa volta dichiarato – dell’agente speciale DLett Thursday Next è l’oscuro Acheron Hades, che vive per il male.
Male che, nella sua forma più estrema, coincide con il furto dei preziosi manoscritti originali dei classici della letteratura inglese, da Dickens fino al notissimo Jane Eyre, con lo scopo di rapirne i personaggi, modificando così irrimediabilmente le storie più amate.

Tocca allora all’eroina Thursday saltare in modo rocambolesco all’interno delle vicende di Jane Eyre e salvare lei, la sua vicenda e la serenità di milioni di lettori.

In un mondo così strampalato – ma al tempo stesso così reale – anche i personaggi secondari hanno il loro peso.
Incontriamo così, tra gli altri, zio Mycroft, inventore prossimo alla pensione che ricorda l’Archimede pitagorico di Topolino.
E’ a lui che si deve l’invenzione del Portale della Prosa, strano strumento alimentato dai tarli bibliovori, che permette di entrare e uscire quasi a piacimento dai libri e quindi di portare nel mondo reale quello che già c’è o ci sarà nel mondo dei libri.
Inevitabile che il Portale diventi oggetto del contendere delle forze del male, ufficiali e clandestine; contendere che si intreccia con il tentativo disperato di Mycroft di recuperare la moglie Polly, finita per sbaglio in una poesia di Wordsworth e prossima a innamorarsi del grande poeta.

Incontriamo poi il padre di Thursday, ex agente della CronoGuardia – il dipartimento delle Operazioni Speciali che si occupa del controllo del tempo.
Dopo aver disertato per contrasti con i propri superiori, è stato sradicato dal mondo – cioè, un paio di agenti della CronoGuardia hanno tempestivamente interrotto l’incontro amoroso che lo avrebbe generato.
Vive quindi clandestinamente fuori dal tempo, facendo visita alla figlia di tanto in tanto per cavarla dai guai e aiutarla a risolvere dilemmi quale l’effettiva esistenza di Shakespeare.

Per chiudere, a chi è consigliato questo libro?
- a chi ha amato 1984 perché Orwell aveva già visto tutto
- a chi ha sognato, almeno una volta, di incontrare il protagonista di un libro
- a chi ha voglia di leggere un libro scritto benissimo, in cui le storie e il linguaggio, i personaggi e i loro nomi, sono un tutto inseparabile.

Buona lettura!

P.S.
Noi non abbiamo vie di mezzo: o stiamo sulla luna o andiamo nel pozzo.
Giovanni Trapattoni

martedì 27 gennaio 2009

grande sport

Ieri, prima di andare ad allenarmi,
ho guardato al solito un pò di tv.
fortunatamente, son capitata su un canale sportivo: Supertennis.
e fortunatamente, c'era uno speciale su Wimbledon 1980.
che emozione.
perdete 5 minuti del vostro tempo, e guardate qui....magico.



Mi sono ancora emozionata...
che bello!
adesso me lo rivedo: effetto gasante!
tecnica, grinta, determinazione
ma avete visto quante volte scendevano a rete?
altro che questi energumeni pompati alla Nadal.
bruttissimi da vedere
solo potenza
guardi una partita oggi e..
sdong
sdeng
sdong
sdeng
sdong
sdooong

con la testa che va avanti e indietro
con questi che a forza di muscoli,
fuori dalla linea di fondo campo,
tirano a tutto braccio
cercando di stancare l'avversario
CHE NOIA!

dov'è finita l'eleganza?
e l'intelligenza, la strategia?
adoravo il tennis, una volta
ora mi annoia mortalmente...

lo stile che avevano i campioni come McEnroe, Borg, Becker...
ma avete visto quante volte scendevano a rete?
tagliavano la palla, facevan pallonetti...
non mi ricordo l'ultima volta che ho visto un pallonetto recentemente.
forse Federer, l'unico con un pò di...classe.

non per fare la nostalgica ma...
a me piaceva di più
quando mi incollavo alla tv per vedere queste partite
dove la passione veniva fuori dallo schermo
e dove gridavi, tifavi, ti immedesimavi nei tuoi campioni.
oggi?
oggi guardi le partite, con queste facce di tolla inespressive...

ma dove stiamo andando?
me lo chiedo sempre più spesso.


KM real sport nostalgic


p.s. oggi la rubrica di Mr Wolf è saltata: lo rivedremo la settimana prossima.

lunedì 26 gennaio 2009

Lunedì Cinema

'giorno!
e buon lunedì a tutti!

prima di cominciare con la rubrica del lunedì,
volevo aggiornarvi sul torneo ferrarese.

1-2 e fuori!
il torneo più veloce della mia vita!!
però, seguendo la teoria di 'gippo', dato che la seconda partita l'abbiamo persa con quelle che hanno vinto il torneo, è come se fossimo arrivate seconde!!:-)

mi son divertita...e il buon cibo del sabato ha fatto il resto.

Cooking Mama, hai la ricetta dei Cappellacci di zucca alla ferrarese?

buona giornata a tutti!

KM


Lunedì cinema
a cura di Miike


Ciao a tutti,
inizio con due NON consigli per la settimana:
- Yes Man (Jim Carrey non salva un film che non fa ridere)
- Australia (un remake di Via col vento ma molto più noioso :D)

Questo lunedì spazio a un altro film di genere. Banditi e sceriffi, pistole, l'orizzonte del New Mexico... si va a cominciare!


Appaloosa
di Ed Harris

Uno dei segni più evidenti del cambiamento nei gusti del pubblico cinematografico statunitense nel corso degli anni è stato il declino dei Western, oggi relegati a un ruolo di nicchia, in particolare nell'accezione più classica. Le ultime pellicole di un certo livello, infatti, hanno tentato di intraprendere strade alternative rispetto agli standard, con risultati ora un po' più pretenziosi (L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford), ora fumettosi con elementi di assurdo (il remake de Quel treno per Yuma).

Per molti aspetti, Appaloosa (diretto da Ed Harris, alla sua seconda pellicola da regista dopo lo straniante Pollock, e basato su un racconto di Robert B. Parker) è uno degli esempi più tradizionali del genere che siano stati realizzati a partire dalla piccola rivoluzione dei primi anni '90, interpretata da pellicole come Balla coi lupi e Gli spietati. E tuttavia c'è materiale di qualità a sufficienza per renderlo una visione obbligatoria per coloro che mantengono la passione per quello che il Western può offrire.

L'esordio è piuttosto familiare. Bragg (jeremy Irons), un ranchero spietato, uccide uno sceriffo e i suoi due aiutanti, facendo sprofondare una piccola cittadina del New Mexico nella totale anarchia. Per risolvere la situazione vengono ingaggiati due "sceriffi a contratto", il rude Virgil (Harris) e il suo partner di lunga data Everett (Viggo Morgensen), con il compito di ripulire la città. Virgil estrae un contratto di fronte alle autorità della città - e qui le cose iniziano a divergere dal noto - che gli garantisce il completo controllo della città.E poco dopo, l'ingresso in scena di una vedova solo apparentemente indifesa, Allison French (Renée Zellveger), con il conseguente avvio di uno strano triangolo amoroso, contribuisce a vivacizzare in tono "moderno" lo sviluppo della storia.

Il film è più uno studio di personaggi (che talvolta sorprendono, e comunque non ricadono mai nello stereotipo) che una action movie, anche se le sparatorie non mancano. I momenti di azione sono confinati a brevi, brucianti fiammate ampiamente separate da segmenti più lunghi caratterizzati da dialoghi e interazione tra i personaggi. Il film è ben girato, con gli attori principali in grande forma e perfettamente inseriti nell'atmosfera del periodo: è facile accettare Harris nei panni dello sceriffo di poche parole e dalla mascella squadrata, e Mortensen in quelli di un individuo schivo ma saggio, assieme eroico e modesto. Uno degli aspetti più importanti di ogni Western - l'abilità del regista nel rircreare l'atmosfera corretta - è stato trattato da Harris con metodo e risultati apprezzabili: la sua visione del New Mexico del 1882 è ricca di dettagli e profondità, anche se la regia a tratti è un po' statica e piatta nella rappresentazione degli esterni, talvolta persino troppo "patinati" stile parco divertimenti.

I Western molto spesso finiscono per prendersi esageratamente sul serio, mentre in Appaloosa c'è una rinfrescante vena di umorismo che percorre sottotraccia il film: nè forzato nè innaturale, impedisce agli eventi di diventare troppo drammatici, anche quanto i proiettili iniziano a volare. Probabilmente l'apice della narrazione arriva troppo preso, e l'ultima mezz'ora risulta un po' stiracchiata prima che si ragiunga una conclusione peraltro poco sintonica con il resto del film. Difetti a pare, Appaloosa rimane una valida ragione per dimostrare che il genere ha ancora qualcosa da dire.

6/10

Trailer

venerdì 23 gennaio 2009

Friday!

Mamma mia che settimana piena!

meno male che è venerdì..

prima di anticipare la richiesta musicale di oggi,
volevo raccontarvi una cosa.
Ieri mattina ascoltavo al solito la radio, sintonizzata su Tutto Esaurito.
Solita simpatia.
Arriva il notiziario.
Notizione: KAKA', nella partita della sera prima, ha giocato sereno.
Tutto il trambusto della settimana, che lo ha visto sotto i riflettori
e che lo ha stressato moltissimo
non sembra averlo turbato più di tanto.

Riflessione: ma siamo tutti rincoglioniti?
Come mi piacerebbe essere 'stressata' perchè non so se prendere 7 milioni di euro all'anno...oppure 15!

ma va là va..

w l'italia
w il mondo del calcio

vabbè, torniamo a cose più divertenti.
Quest'oggi, 2 richieste! una per Miss Kate...
un pò di back to childhood non fa mai male!

e poi, una chicca della musica italiana, della PFM, datata 1971: Impressioni di settembre, per il neo immigrato tra i maori.

Buon ascolto e...buon week end!
io vado a prendere mazzate a Ferrara...

KM





Premiata Forneria Marconi (PFM)
Mogol - Pagani - Mussida
(1971)

Quante gocce di rugiada intorno a me
cerco il sole, ma non c'è.
Dorme ancora la campagna, forse no,
è sveglia, mi guarda, non so.
Già l'odor di terra, odor di grano
sale adagio verso me,
e la vita nel mio petto batte piano,
respiro la nebbia, penso a te.
Quanto verde tutto intorno, e ancor più in là
sembra quasi un mare d'erba,
e leggero il mio pensiero vola e va
ho quasi paura che si perda...
Un cavallo tende il collo verso il prato
resta fermo come me.
Faccio un passo, lui mi vede, è già fuggito
respiro la nebbia, penso a te.
No, cosa sono adesso non lo so,
sono un uomo, un uomo in cerca di se stesso.
No, cosa sono adesso non lo so,
sono solo, solo il suono del mio passo.
e intanto il sole tra la nebbia filtra già
il giorno come sempre sarà.

giovedì 22 gennaio 2009

Lampi da Londra

Buongiorno!

oggi abbiamo una nuova rubrica, non fissa, direttamente da London city!

Vi lascio all'articolo: attualissimo e che...parla di noi...

Buona giornata!

KM

La generazione 'L' e le sue future paure.
a cura di L

Ai sociologi piace dividere i nati dal 1945 in vari gruppi. Ci sono i baby boomer, c'è Generazione X, che può anche diventare Generazione Y negli ultimi tempi. Ma, per quanto mi riguarda, ci sono anche tutti i membri della Generazione L - che è caratterizzata, come l'iniziale della parola fortunato (lucky), appunto dalla lettera L.

Quelli di noi nati in Europa occidentale o negli Stati Uniti non hanno mai realmente conosciuto momenti difficili. I nostri genitori e nonni hanno vissuto guerre mondiali e la Grande Depressione. Noi abbiamo avuto decenni di pace e di prosperità.

E' possibile che questa situazione cambi? Forse la Generazione L ha solamente avuto il lusso di un'estesa "vacanza dalla storia", che volge ora al termine.

Non vi è alcun dubbio che la gente oggi sia in stato di panico. Il flusso di pessime notizie aziendali è così implacabile che Boris Johnson, il sindaco di Londra, ha denunciato che: "Passare un'ora leggendo il FT (Financial Times) è come essere intrappolati in una stanza con membri assortiti di una setta di suicidi millenaristi." Un sondaggio CNN rileva che quasi il 60 per cento degli americani si aspettano che l'attuale recessione si trasformi in una depressione.

Se ci trovassimo in una situazione economica simile a quella della Depressione, ci troveremmo anche di fronte alla politica dei tempi della Depressione? Ciò significherebbe nuovi partiti estremisti e ideologici, l'aumento del nazionalismo, la crescente irrilevanza delle organizzazioni internazionali come la Società delle Nazioni e delle Nazioni Unite e - in ultima analisi - la guerra.

Con tutto questo pessimismo e scenari apocalittici, vale forse la pena di ricordare quanto ancora lontane siano le condizioni dalla Grande Depressione - quando la disoccupazione aveva colpito il 25 per cento negli Stati Uniti e il 20 per cento in Gran Bretagna, e la fame e i senzatetto erano una fatto comune. Ma il ritorno della disoccupazione di massa non è impossibile. L'anno scorso, gli Stati Uniti hanno sperimentato la sua più grande perdita di posti di lavoro in un anno dal 1945. Immaginate l'impatto più ampio sull'economia americana se General Motors e Ford cesseranno la loro attività nel corso del 2009.

Ci viene detto che i nostri attuali leader hanno imparato la lezione del 1930. Ben Bernanke, capo della Federal Reserve statunitense, è uno storico della Grande Depressione e i principali economisti ritengono che la loro conoscenza abbia compiuto progressi dal 1930. Come moderni medici, gli economisti moderni hanno tutta una serie di nuovi strumenti a loro disposizione che erano sconosciuti al tempo della Depressione. Malattie economiche, che una volta potevano essere fatali, possono ora essere trattate efficacemente.

Questa è vero in teoria. Infatti la gran parte degli economisti non ha saputo prevedere l'entità della crisi attuale. Poiché non hanno saputo diagnosticare la malattia, vi è ora poca fiducia popolare che ne trovino la cura. Che cosa succede se si scopre che l'economia come scienza è, in realtà, allo stesso livello della medicina quando i medici credevano ancora nell'applicazione delle sanguisughe? Oppure cosa succede se l'economia, che ha fatto grandi progressi, si trova di fronte ad un nuovo tipo di virus economico per il quale non abbiamo ancora individuato una cura - un virus H5N1 (Influenza aviaria) di tipo economico?

Una simile domanda vale anche per la politica economica adottata per affrontare la crisi attuale. Davvero la nostra conoscenza di che cosa sia andato storto nel 1930 rende meno probabile che si faranno di nuovo gli stessi errori?

Ci sono alcuni segnali preoccupanti. Al vertice dei G20 di novembre, tutti i 20 governi hanno solennemente promesso di evitare il protezionismo, che è ampiamente accreditato di aver aggravato la crisi del 1930. Eppure, nei giorni seguenti il ritorno da Washington, l'India e la Russia hanno innalzato nuove tariffe all'importazione. Un'altra lezione del 1930 è che la cooperazione internazionale - fondamentale per affrontare una crisi finanziaria mondiale - può disintegrarsi rapidamente e generare una depressione.

In passato, i periodi di sconvolgimento economico hanno portato al sorgere di nuovi movimenti politici radicali e forti conflitti sociali. Al momento, la sola grande democrazia che ha indetto elezioni dopo il crollo di Lehman Brothers nel settembre scorso sono gli Stati Uniti, e hanno votato per Barack Obama, un liberale internazionalista. Ma negli ultimi mesi ci sono stati proteste violente nell' Estremo Oriente della Russia, nel sud della Cina e in Grecia.

Per fortuna, passare da alcuni piccoli disordini e tensioni nel commercio internazionale ad un dilagante nazionalismo e alla guerra del 1930, e' ancora un grande salto. Per la mia generazione sembra quasi impensabile che si possa tornare a un'epoca di conflitto armato tra le principali potenze del mondo.

Ma le generazioni precedenti si erano sentite sicure allo stesso modo. Nel 1911, verso la fine di un altro lungo periodo di pace, di prosperità e globalizzazione, GP Gooch, un eminente storico britannico, aveva scritto che: "Ora possiamo guardare avanti con fiducia al momento in cui le guerre tra nazioni civili saranno considerate come dei duelli antiquati".

Alcuni studiosi oggi prendono posizioni analoghe. John Mueller, un accademico americano, ha fatto i suoi conti un paio di anni fa e ha concluso: "Entro pochi anni non ci potranno essere piu' guerre in tutto il mondo." '

Con le bombe che fischiano su Gaza mentre scrivo, forse questa diagnosi sembra un po' prematura. Ma l'ottimismo odierno circa la scomparsa della guerra tra le potenze mondiali può essere più ragionevole di quanto si sia rivelata negli anni precedenti la prima guerra mondiale. Sono passati quasi 60 anni da quando le forze americane e cinesi si scontrarono per l'ultima volta in Corea.

L'equilibrio basato sul terrore atomico non esisteva nel 1914 e ciò ha reso la possibilità' di una guerra meno vicina. Ma un altro importante deterrente, il lungo periodo di integrazione economica e aumento della ricchezza, ora rischia di giungere al termine.

Lunghi periodi di pace e di prosperità, tuttavia, non sono sempre terribilmente interessanti. In mezzo a tutto questo pessimismo economico, non penso di essere il solo ad avere una strana sensazione di eccitazione per avere l'opportunita' di vivere in tempi incerti e storici.
Come Philip Larkin, un malinconico poeta inglese, una volta scrisse: "La vita è prima noia / Poi paura."
Abbiamo avuto la noia. Ora è il momento della paura.

gideon.rachman@FT.com

Articolo originale

mercoledì 21 gennaio 2009

La rubrica di Ele

Intervista al Commissario Micuzzi di Sottotraccia

Oggi torno a parlare di un libro citato da Killmosquitos a inizio novembre.
Il libro è Sottotraccia, le Inchieste del Commissario Micuzzi, di Massimo Cassani.

Il libro, edito da Sironi Editore, è in libreria dall’inizio di novembre e ha incontrato un discreto successo tra gli appassionati di gialli, noir e buona lettura.
Ne parlo intervistando direttamente il protagonista, il Commissario Micuzzi.

Commissario Micuzzi buongiorno.
La prima cosa che vorrei chiederle è come sta andando la sua avventura. Ormai è in libreria da due mesi.

Certo non mi posso lamentare.
Il libro che mi vede protagonista è uscito un po’ in sordina, la stampa non mi inizialmente prestato troppa attenzione e, all’inizio, ero un po’ demoralizzato.
Poi, nel giro di qualche settimana, la Repubblica e La Voce hanno parlato di me, Radio Capital mi ha citato e la stampa varesina (Prealpina, Provincia di Varese e Varese News) mi ha dedicato tantissimo spazio.
Le presentazioni in libreria, a Milano e Varese, sono andate benissimo e mi dicono che il libro sia ormai quasi esaurito nelle librerie lombarde e, addirittura, in quelle romane.
In questi giorni siamo in ristampa; una bella soddisfazione per uno che fino a ieri era sconosciuto…


Commissario, a dire il vero, lei non è esattamente un eroe senza macchia e senza paura.
E’ imbranato, scorbutico, non sa cucinare, non frequenta i posti giusti, si dimentica i compleanni e, oltre tutto, riesce a trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato…

Mah…qualcuno dice così, in effetti…però, dai, è anche la mia forza. Non le racconto certo quello che succede nel libro, anche se la mia testa tra le nuvole, alla fine, mi dà una mano pure lì…
Al di là delle mie vicende professionali, mi dicono che il mio carattere un po’ distratto, un po’ com’è che ha detto lei, imbranato?, sia piaciuto molto a chi mi ha letto.
Non certo perché i miei lettori siano tutti imbranati… ma perché mi dicono che sono un personaggio vero e credibile.
E veri e credibili, anche se meno distratti di me, sono anche gli altri personaggi del libro, – i miei collaboratori, Lariccia, Teneriello e Salada e i personaggi che si muovono intorno al giallo, dallo scrittore Rondanini a quello strano e, diciamolo, un po’ inquietante personaggio che è il Grande.
Senza dimenticare, ovviamente, l’agente Rosaria Della Vedova, la donna più brutta del libro e forse di Milano, le affascinanti Corinna e Asia, la mia fidata amica Ambra Cattaneo, e anche mia moglie Margherita.


Ex moglie dovrebbe dire, commissario - Margherita lo ha lasciato dall’oggi al domani.
Eppure, con le donne ha un certo successo. Sono le donne che, pur sottotraccia, riescono a farla uscire dal guscio e a metterla sulla strada giusta.
Strada che attraversa Milano.
La sua però non è la Milano classica dei gialli, quella del nebbione di Scerbanenco, ma una Milano degli anni Novanta e Duemila, in cui la nebbia è sparita.
Anche se deve ammettere che ultimamente la nebbia a Milano ci è tornata. Commissario, un’altra volta al posto sbagliato nel momento sbagliato?

Dai, non proprio.
E’ vero che la nebbia è tornata a Milano, però è anche vero che…insomma, i nebbioni di Scerbanenco non ci sono più. Se la ricorda quella scena de I Ragazzi del Massacro in cui Duca Lamberti (protagonista dei romanzi di Scerbanenco – ndr) apre la finestra della questura e la nebbia invade la stanza. Chi la vede più quella nebbia lì? E poi, la nebbia negli anni Novanta e Duemila a Milano è sparita per davvero.

Commissario ma lei legge gialli? Non mi risulta!
No, non li leggo, non mi piacciono… Margherita però li legge, lei sa sempre tutto di tutti…la nebbia era il simbolo di una Milano diversa, in cui il proletariato e la piccola borghesia avevano una coscienza di classe e si sentivano parte dello stesso mondo. A partire dagli anni Ottanta, quando si sono diffusi edonismo, benessere e individualismo, la nebbia è sparita – insieme al collante sociale. Lo dice Margherita e se lo dice lei…
Sarà un caso che la nebbia è tornata proprio adesso che la crisi comincia a farsi sentire. E sarà un caso che la nebbia si è fatta vedere soprattutto in periferia, dove di soldi ce ne sono sempre meno?
Non lo so, però mi piace pensare che, con la crisi, possa tornare insieme alla nebbia anche un po’ di solidarietà e di senso della comunità.


Beh, detto da un orso come lei…
Io non faccio testo…

Insomma, la nebbia come coscienza di Milano.
Sì. E la città è l’altra vera protagonista di Sottotraccia. E Milano è anche protagonista di una mostra fotografica che si inaugura stasera alle Biciclette. Io però non ci vengo…a me i locali non piacciono molto…a Margherita, invece.

Lasci perdere Margherita, commissario, dicevamo della mostra.
L’ha organizzata una brava fotografa…una certa Roberta Mazzolini…

Mazzoleni, commissario, Roberta Mazzoleni, con la “e”…
Sì, vabbè, Mazzoleni…comunque ho saputo che comincia alle 18 alle Biciclette in Via Torti angolo Corso Genova.

Ne è sicuro?
Sì sì, me l’ha detto l’agente Rosaria Della Vedova…anche lei non sbaglia mai…come Margherita…presentano il libro il libro e si inaugura la mostra Milano Sottotraccia. Pare ci sia anche l’autore…Maurizio Cassoni…

Cassani, commissario, Massimo Cassani, è un giornalista.
Ah sì, giusto…e poi c’è anche un altro giornalista, un giornalista del Corriere, Riccardo Viola…

Uffa, Micuzzi, ma allora è un vizio. Riccardo Rosa, non Viola…ma lei le foto le ha viste?
Sì, le ho viste. Molto belle direi…raccontano Milano proprio così come la vedo io. Una Milano senza nebbia, un po’ metropoli e un po’ quartiere, ma soprattutto la Milano di chi ci vive, abita e lavora tutti i giorni.

Qualche altro appuntamento per chi vuole conoscerla meglio?
Un paio prima della fine di gennaio.
Domenica prossima alle 13.00 su RaiRadio2, alla trasmissione di Luca Crovi – Tutti i Colori del Giallo e poi sabato 31 gennaio alla Libreria del Giallo di via Tortona per una nuova presentazione poco prima di pranzo.


Grazie commissario. Un’ultima domanda.
I commissari ormai impazzano in libreria e anche sul piccolo schermo.
Per vederla in tv, forse è un po’ presto. Ma in libreria, pensa di tornarci?

Sembra proprio di sì.
Verso fine anno dovrebbe uscire il secondo libro che mi vede protagonista.
Per il terzo, beh, la storia c’è, però dipende anche da voi…




Per chi volesse conoscere meglio il commissario Micuzzi, l’appuntamento è:
da stasera alle 18 fino al 4 febbraio alle Biciclette con la mostra fotografica

in libreria con
Sottotraccia – le inchieste del Commissario Micuzzi
Di Massimo Cassani

Per chiudere un consiglio della Ele.
Sottotraccia è un bel libro – una storia piacevole e ben scritta, con personaggi ben costruiti a cui ci si affeziona.
Leggetelo.
E, se avete voglia di ricordare una Milano che non c’è più, leggete anche Scerbanenco.

martedì 20 gennaio 2009

Ascolta un cretino

Oggi torna la nostra rubrica di attualità: devo dire che l'idea dei 'piccoli' giornalisti è piaciuta.
Non solo ai free lance che gentilmente prestano la loro opera per arricchire il blog, ma anche ai lettori, che si attestano nell'ultima settimana sulla cinquantina al giorno!
Grazie a tutti, ragazzi!
e per i nuovi, se volete scrivere al blog di KM con suggerimenti, critiche, nuovi argomenti e tutto quello che avete voglia di di dire, potete farlo all'indirizzo che trovate sulla colonna di destra!

Vi lascio a Mr. Wolf: buona lettura!

KM editore ;-)

OH..BAMA!
di Mr. Wolf


















Di cosa avremmo potuto parlare oggi se non dell’insediamento di Obama quale 44° presidente degli USA?
Di nient’altro, e difatti…
Ad Obama voglio fare un augurio perché di tanto sostegno e fortuna ha bisogno quest’uomo, grandi sono le sfide che lo attendono e sinceramente non credo che basti un mandato, forse neanche due, per fare tutto ciò che ha scritto nel suo programma e soprattutto per trovare i soldi per farlo, adesso più che mai.
Ma in fondo non è di questo che si parla, non è l’Obama politico che ha vinto le elezioni, bensì è l’Obama che troneggia sulle magliette, i muri, i quadri, i giornali e le tazze, è l’Obama figlio di Martin Luther King e Bob Kennedy, non più parte della generazione dei baby-boomer come Clinton e Bush, schierati a destra o sinistra e odiati dagli avversari, avvelenati ancora dall’eredità della lotta di classe del ‘68;
sarà capace di riunire l’America sotto ad una stessa unica bandiera come fecero già Roosevelt e Reagan?
Riuscirà ad essere il presidente di tutti gli Americani?
Penso di sì perché quello che vogliono adesso gli americani è ritrovare la loro identità di grande popolo e già ne hanno dato prova eleggendo un nero appena quarant’anni dopo il già citato Martin Luther King, mentre la vecchia e decadente Europa, culla della civiltà, gioca ancora alla lotta tra rossi e neri; non pensavo che avrebbe vinto e invece l’America mi ha dato, ci ha dato, una grande lezione.

Ma quando la grande ubriacatura sarà passata, e l’ultimo centesimo dei 150 milioni previsti per la cerimonia dell’insediamento sarà stato speso, allora i duri inizieranno a giocare e già il giorno dopo dovrà giustificare il fatto che di milioni lui per la cerimonia ne ha raccolti solo poco più di 40 mentre gli altri 100 e passa saranno a carico dei contribuenti, cosa che ha già generato malumori in tempi di vacche magre come questi;
dovrà gestire la difficile situazione internazionale degli ormai tradizionali tre scenari M.O., Afghanistan e Iraq, sui quali ha progetti molto ambiziosi ma senza troppi appigli nella realtà dei fatti;
dovrà far ripartire l’economia americana vittima della peggior crisi se non della sua storia almeno degli ultimi 80 anni, per cui prevede di utilizzare, avallato da tutte le forze politiche e non, qualcosa come 850 miliardi di dollari senza avere ancora bene l’idea di cosa fare con il rischio di realizzare, come ha paventato l’economista Alice Rivlin, la più grande dispersione di soldi al vento della storia; dovrà porre rimedio alla insostenibile situazione della sanità americana che, già molto claudicante, nel doppio mandato di Bush ha ricevuto il colpo di grazia e per la quale ha progetti splendidi e molto democratici ma ben sette volte più costosi del piano già bocciato dal Congresso ai tempi di Clinton perché ritenuto troppo oneroso per le casse dello stato;
dovrà ridare dignità alla scuola pubblica che negli Stati Uniti, chi minimamente se lo può permettere, evita come la peste, e non è certo partito con il piede giusto decidendo di mandare le due figlie alla Sidwell School, una scuola per pargoli di buona famiglia da 29.000$ di retta all’anno.

Auguri Presidente, direi che ne ha proprio bisogno.
Auguri perché se l’America riparte, al traino riparte il mondo intero.
Auguri perché se riuscirà ad esportare la democrazia invece di imporla forse sarà di buon esempio per qualcuno invece che essere un nemico da odiare per tutti.
Auguri perché le sfide che deve affrontare lei sono le sfide che ormai noi tutti dobbiamo affrontare insieme in questo mondo diventato così piccolo.
Auguri Presidente, perché chi ti scrive, sotto al suo cinico pragmatismo, in fondo in fondo vuole credere che sia possibile un mondo migliore.

lunedì 19 gennaio 2009

Lunedì Cinema

a cura di Miike

Ciao a tutti,

è un periodo particolarmente ricco di uscite interessanti, bene così ;) Dall'India al Libano, dal Lontano al Vicino Oriente... il film di questo lunedì è un racconto sulla guerra e sul peso della memoria, applaudito a Cannes e recentemente vincitore di un Golden Globe come miglior film straniero.

Valzer con Bashir
di Ari Folman

Forse c'è qualcosa di profondamente sbagliato nel fatto che ormai, guardando l'ennesimo film di guerra, difficilmente ci sentiamo davvero coinvolti nell'assistere a una carneficina, o sopprimiamo a fatica uno sbadiglio mentre un altro missile riduce un palazzo in macerie, un'altra raffica di mitra provoca un massacro e fiotti di sangue si spargono sulla pellicola. Siamo, di fatto, "anestetizzati" rispetto alla violenza, da veri veterani di film di guerra. Questa non è la reazione generata da Valzer con Bashir, inquietante e onirico resoconto della guerra del Libano del 1982, raccontato in prima persona dal regista israeliano Ari Folman (semisconosciuto al grande pubblico internazionale), nei panni del suo "io" più giovane.

Ogni generazione elabora gli orrori e le responsabilità delle guerre a suo modo, ma il regista è arrivato a coniare un genere completamente nuovo: un documentario animato sul tema della colpa e del rimorso, etereo e pure assai concreto, rumoroso e dolorosamente silente, i cui echi arrivano a toccare il conflitto in corso in questo periodo a Gaza, la storia di Israele, la storia degli ebrei - e la storia della guerra stessa. Il film, devastante e desolante in ugual maniera, offre un significato progressivamente più ampio mentre circoscrive sempre di più il suo ambito narrativo.

Non è solo la natura di film d'animazione che lo distingue da gran parte delle pellicole di genere, per quanto lo stile graffiato, metafisico e assieme estremamente carnale, sia uno dei punti chiave della sua originalità. Valzer con Bashir è una lezione sulla persistenza della memoria, di ricordi specifici che Folman credeva di avere smarrito e che invece erano solo congelati nell'attesa. L'evento rivelatore, che apre il film, è il racconto di un ex-commilitone, incontrato una sera in un bar, circa un suo incubo ricorrente, in cui viene inseguito da un branco di cani feroci, con occhi gialli spiritati e zanne luccicanti, legato a un tragico ricordo della guerra. Folman ascolta l'amico, e discutendo inizia a farsi strada in lui un dubbio: perchè, nonostante avesse anch'egli combattuto in Libano, non ricorda nulla a parte poche immagini confuse? "Ero lì anch'io?" si domanda.

Attorno a questo interrogativo si snoda il racconto del film: il regista/protagonista inizia un viaggio catartico alla ricerca dei soldati con cui aveva combattuto quando era solo una recluta poco più che maggiorenne, sperando che i loro ricordi aiutino a dare forma ai suoi. Lentamente, dolorosamente, attraverso l'orrore dei racconti il regista ricostruisce il mosaico di quei giorni nell'occhio del ciclone, fino ad arrivare a rivivere quello che un amico terapeuta aveva individuato essere l'"evento dissociativo": il massacro di centinia, forse migliaia, di Palestinesi nel settembre 1982 all'interno dei campi profughi di Sabra e Shatila, operato da falangisti cristiani libanesi (con il tacito benestare dell'esercito israeliano stanziato di guardia ai campi) come rappresaglia dopo l'omicidio del presidente eletto Bashir Gemayel, e il ruolo avuto nell'evento dallo stesso Folman.

La realizzazione di Valzer con Bashir è durata quattro anni, e il risultato è incredibilmente ipnotico e affascinante: girato prima in studio con attori veri, il film è stato poi completamente ridisegnato fotogramama per fotogramma da un team di animatori utilizzando un mix di tecniche classiche, elementi di animazione 3D, e tecnologia Flash. Anche grazie a questo approccio, per quanto il film sia permeato di violenza, questa viene più nascosta che mostrata, e largo spazio viene lasciato all'introspezione: assistiamo a una specie di viaggio fantasmagorico, un incubo a occhi aperti, in un mondo dove la guerra è una costante, e la tecnica di messa in scena ci permette di entrare in una sorta di zona proibita dove le fantasie dei personaggi sembrano altrettanto realistiche dei proiettili sparati dalle fazioni in lotta. Così l'animazione diventa una barriera tra le testimonianze dei protagonisti e il pubblico, e l'effetto è quello di intensificare la potenza drammatica.

Valzer con Bashir offre al pubblico una seria sfida interpretativa. Folman enfatizza la natura sfuggevole e inaffidabile della memoria, ma è questo un modo per sfuggire alle sue responsabilità? Tanto più che, per buona parte del film, si è spinti a solidarizzare maggiormente con i traumatizzati soladi israeliani piuttosto che con i civili massacrati nei campi profughi. Ma poi ci si ricorda dei cani rabbiosi che aprono il film, e ci si domanda se possano rappresentare una confessione implicita di complicità, se non proprio di colpevolezza. E alla fine, quando negli ultimi minuti il film abbandona l'animazione per la rappresentazione realistica, viene da domandarsi il motivo per cui il regista abbia voluto inserire immagini così crude se non fossero state in qualche modo evocate dalle coscienza: quando la realtà reclama il suo spazio, è il momento per l'artista di mettere da parte il pennello?

Giusto per complicare la questione, l'attuale governo israeliano ha sostenuto Valzer con Bashir, e questo suggerisce che il regista è stato veramente in grado di realizzare una pellicola aperta e universale - una meditazione sul tema dell'evasione morale personale e collettiva. Le guerre vengono combattute, il film ci racconta, per essere poi letteralmente dimenticate.

7/10

venerdì 16 gennaio 2009

...sweet song...

richiesta dal mio chitarrista preferito,
il quaio!

Cantata da Noa, Eye in the sky

Buon 'dolce' week end

KM



EYE IN THE SKY

by Alan Parsons Project

Don't think sorry's easily said
Don't try turning tables instead
You've taken lots of chances before
But I ain't gonna give any more
Don't ask me
That's how it goes
'Cause part of me knows what you're thinking...
Don't say words you're gonna regret
Don't let the fire rush to your head
I've heard the accusaation before
And I ain't gonna take any more
Believe me
The sun in your eyes
Made some of the lies worth believing

CHORUS
I am the eye in the sky
Looking at you
I can read your mind
Iam the maker of rules
Dealing with fools
I can cheat you blind
And I don't need to see any more
To know that I can read your mind, I can read your mind

Don't leave false illusions behind
Don't cry 'cause I ain't changing my mind
Soo find another fool like before
'Cause I ain't gonna live anymore believing
Some of the lies while all of the signs are deceiving

giovedì 15 gennaio 2009

a proposito..

di ieri.
volevo spendere due righe per chiarire la mia posizione rispetto a questo blog
sulla 'democrazia' e la 'libertà di pensiero e parola' di chi vi partecipa.

questo blog nasce dalla prima idea di raccontarsi un pò
di esprimere le proprie opinioni
e condividerle
senza paura di essere giudicati

nel tempo, la connotazione è cambiata:
si è passati da blog a una specie di community:
in principio si parlava/discuteva su argomenti da me pubblicati,
oggi, invece, ci sono ben 3 giorni su 5 dedicati a chi ha deciso (spontaneamente o con la forza ;->) di partecipare attivamente con propri post.
Massima libertà di proposizione
nulla viene 'censurato', corretto o supervisionato.
Anche se le mie idee sono diverse.
perchè? perchè mi piacerebbe fare di questo blog un posto dove si possa discutere apertamente su temi di attualità
dove non ci sia una voce univoca, la mia, ma di gruppo, la nostra

un gruppo che condivide l'idea di base di questo blog/community
e che poi esprime la propria opinione senza vincoli.
la discussione, l'aggressività, le risposte più o meno gentili fanno parte del confronto.
Critiche costruttive non possono fare altro che arricchirci
e le discussioni pure.
Discussione è partecipazione, passione, voglia di mettersi in gioco..
all'opposto dell'indifferenza
che è quello che in questo blog non voglio in assoluto.
Qualcuno dice che siamo un 'covo di comunisti'
nessuno ha posto vincoli...non chiedo il tesserino del partito a quelli che scrivono!!..anche perchè io non sono ''comunista'' (che poi, oggi, cosa vorrà dire chi lo sa..)
mi vien da pensare che i 'fascisti' non abbiano nulla da commentare
o restan nascosti
come tutti quelli che votano Berlusconi e poi non lo dicono perchè si vergognano.
Venite fuori, se ci siete. e costruiamo un dibattito che ci arricchisca e che ci faccia diventare migliori. tutti.
Qui si è liberi, a 360°
e lo dimostra il fatto che non ho mai eliminato un commento,
o filtrato un'opinione.

Anyway (un pò di internazionalità và..) chiarito questo punto,
voltiamo pagina e andiamo avanti.

Ieri mentre ero sul Freccia Rossa (treno alta velocià per roma...miracolosamente comodo e..puntuale!!), ho letto un articolo che vi ripropongo. L'ha scritto Tito Boeri, giornalista di Repubblica.
Alla fine, al solito, ci si perde in un bicchier d'acqua...

mi piacerebbe avere la vostra opinione.

Buona giornata

KM romana

IL NORD TRADITO DAI NORDISTI

Il grande vincitore delle elezioni dell' aprile scorso è stata la Lega Nord. Oggi il suo elettorato si sente tradito. Basta "sfogliare" virtualmente i giornali on-line del varesotto per rendersene conto. «Un anno fa, eravamo venuti da tutta la Padania a Malpensa; faceva un freddo cane; per protestare contro il progetto Prodi che voleva vendere Alitalia ad Air France». «Poi è venuto Berlusconi, è venuta la cordata, è venuta la Cai, è venuta l' alleanza con Air France e sono rimasti pochissimi voli su Malpensa. Quanto freddo abbiamo patito, in cambio di una beffa». I toni utilizzati dal sindaco di Milano Letizia Moratti nel commentare in televisione l' epilogo della vicenda Cai non sono stati molto più teneri nei confronti dell' attuale governo. Il fatto è che le beffe per il Nord vanno ben oltre Malpensa. Sono i 140 milioni per salvare Catania e altre amministrazioni fallimentari al Sud, l' esclusione di Roma dal Patto di Stabilità Interno (come dire che non avrà vincolo di bilancio), il commissariamento prima e poi il blocco dei fondi per l' Expo a Milano. Per non parlare poi del continuo rinvio e annacquamento del federalismo, di un governo che non riesce a non far crescere la pressione fiscale e che taglia solo la spesa per investimenti, come certificato in questi giorni dall' Istat. Il Nord rischia di sentirsi ancora di più abbandonato nei mesi a venire. È qui che durante le recessioni aumenta di più la disoccupazione. Nel Mezzogiorno c' è più impiego pubblico e quando l' economia va male cala la partecipazione al mercato del lavoro e addirittura diminuisce la disoccupazione, come nel 1992 e nel 1993. Questa poi è una recessione globale, in cui soffrono soprattutto le imprese esportatrici, concentrate al Nord. Ne abbiamo già le avvisaglie. Le ore di cassa integrazione sono aumentate del doppio nel Nord rispetto alle altre parti del Paese. E preludono a licenziamenti. Una maggioranza che non riesce a decidere che cosa fare di fronte alla crisi, che non ha voluto rivedere la sua politica economica alla luce della recessione, è perciò destinata a vivere al suo interno una lacerante questione settentrionale. È infatti paradossale che il Nord oggi si senta penalizzato. In questi anni ha acquistato maggiore peso economico. La sua popolazione è aumentata, negli ultimi 15 anni, cinque volte più che al Sud. In tutto questo tempo il Nord ha anche avuto un sindacato, la Lega, il che avrebbe dovuto, sulla carta, fare aumentare il suo potere contrattuale. Il Carroccio non si fa problemi a chiedere di più per i propri territori e meno per gli altri. Nel programma della Lega si parla delle infrastrutture al Sud come qualcosa che potrà essere attuato solo dopo la Tav e le altre grandi opere del Nord, E, inoltre, senza soldi pubblici. Come dire, mai. Ma forse è proprio qui il problema. Un sindacato del territorio non riesce a trovare una sintesi, si perde in mille battaglie localistiche. Non riesce neanche a mettersi d' accordo tra Malpensa e Linate. Il pragmatismo settentrionale si trasforma così nell' indecisionismo padano di un Roberto Cota, capogruppo della Lega alla Camera, che sostiene sia possibile avere due grandi aeroporti internazionali, uno a Malpensa, l' altro a Linate. E magari uno anche a Orio al Serio. Sono molti gli indicatori che ci dicono come al Nord ci sia più capitale sociale che al Sud, più senso civico e attenzione alle esternalità, alle risorse che fanno il bene comune. Ci sono molte più persone che donano il sangue, un gesto altruistico, c' è più fiducia negli altri, più partecipazione elettorale e più associazionismo. C' è anche più informazione. Questo vuol dire elettori più attenti e, dunque, potenzialmente una migliore selezione della classe politica. Le elezioni europee possono offrire un' occasione importante per una classe dirigente del Nord. Cambiano necessariamente la scala su cui confrontarsi. La recessione globale, come pure la globalizzazione e l' immigrazione, non possono essere gestite e governate nelle piccole comunità. L' Europa oggi ci consente di utilizzare le risorse del Fondo Sociale Europeo e del Fondo per la Globalizzazione per migliorare i nostri ammortizzatori sociali. Sono invece molti i politici del Nord che si battono per tenere questi soldi immobilizzati sui loro territori per poi spenderli male, in tanti corsi di formazione di dubbia efficacia. È la stessa logica che porta a rifiutare ostinatamente di contribuire a costruire una politica dell' immigrazione a livello europeo. Si preferiscono i proclami e l' imposizione di tasse assurde e ingiuste, con l' unico risultato di aumentare l' immigrazione clandestina, pur di dimostrare che sono stati loro, i politici del Nord, a decidere. Ma la domanda che, alla fine, resta sospesa è: a decidere che cosa?

mercoledì 14 gennaio 2009

La rubrica di Ele

Campioni del Mondo!
a cura di Ele

10 luglio 2006 – l’Italia di Lippi batte la Francia di Domenech e si laurea, per la IV volta, campione del mondo.
Fabio Cannavaro che solleva la coppa nella notte di Berlino è il simbolo dell’Italia che rinasce dalle ceneri di calciopoli. E’ lo è – e lo sarà ancora di più negli anni a venire – perché Fabio Cannavaro, bello e vincente, fugge dalla Torino juventina che ha avvelenato il calcio italiano e fugge dalla Napoli dell’immondizia che avvelena i suoi abitanti.
Intanto, in Italia succedono altre cose ed è un altro giovane napoletano a diventare simbolo dell’Italia che vuole rinascere.
Roberto Saviano, giovane cronista campano, pubblica Gomorra, un libro che sembra poter cambiare l’Italia.
Con Gomorra, Saviano solleva il coperchio, rivelando quello che tutti – chi più chi meno – già sapevano: la potenza della Camorra, il suo potere economico e la sua intelligenza imprenditoriale.
Saviano spiega come la camorra dia da vivere alla provincia campana e, soprattutto, come la camorra offra ai propri affiliati e dipendenti quel sistema di welfare che lo stato ufficiale non sa garantire – lavoro per tutti, assistenza medica e legale, indennità di disoccupazione, pensione alle vedove del sistema.
Tutti ne parlano – sembra impossibile che, adesso, nulla cambi.

Con Gomorra, Saviano rivela anche un’altra cosa, che forse erano in pochi a sapere.
La camorra è anche la prima fonte di reddito e di potere di una tra le più floride industrie italiane, quella della moda.
Saviano spiega come le grandi firme della moda milanese “appaltino” alle piccole imprese artigiane e cinesi della provincia campana la produzione dei propri abiti.
E spiega anche come questo sistema di appalti alimenti il mercato dei falsi veri, falsi capi firmati che, in realtà, contraffatti non sono, visto che sono prodotti esattamente come i veri veri. Semplicemente, non hanno vinto l’appalto – ma, poiché l’aggiudicazione ha luogo solo a produzione completata, sono originali esattamente come quelli indossati dalle star di Hollywood e vendute nelle boutique delle vie della moda.
Solo che questi sono venduti per le strade e sulle spiagge da ragazzi clandestini.
Nessuno ne parla – sembra impossibile che qualcosa cambi.

Intanto, qualcosa cambia – la vita di Saviano che, minacciato, è costretto a vivere sotto scorta 24 ore su 24.
E cambia, forse solo per poco, la vita dei ragazzini campani chiamati da Matteo Garrone a recitare nel film tratto dal libro.
Dai vicoli di Napoli alla candidatura all’oscar e ai sogni di gloria e di successo.

Quella gloria e quel successo che hanno baciato in fronte Fabio Cannavaro, campione del mondo e, oggi, bandiera del Real Madrid, la squadra più blasonata al mondo.
Il simbolo vivente del riscatto napoletano.

E, come in tutte le storie che si rispettino, anche Fabio Cannavaro è intervenuto nel dibattito su Gomorra, permettendo, tra l’altro, al libro e al film di essere rilanciati alla ribalta mediatica.
Peccato che le dichiarazioni di Cannavaro suonino più o meno così: “Gomorra non fa bene all’immagine dell’Italia del mondo”.
Scusa, scusa campione del mondo: cos’è che non fa bene all’immagine dell’Italia?
La camorra, che inquina Napoli e la Campania, ruba milioni di euro di risorse e fa crollare le vendite nel mondo dei prodotti tipici campani?
O Gomorra, che denuncia quello che succede, offrendo all’Italia l’opportunità di rimettere a posto qualcosa?

Ma a nessuno viene in mente di criticare le parole del capitano dei campioni del mondo.
Tanto più che, nel frattempo, i Moggi escono praticamente indenni dal primo processo di Calciopoli e a Torino si comincia a gridare al complotto e a richiedere a gran voce la restituzione degli scudetti tolti a tavolino e, a tavolino, attribuiti all’Inter (povero Moratti, vedrai che glieli tolgono…).
Lippi, intanto, è tornato ct della nazionale e, tra gli applausi dei più, ha dichiarato, nell’ordine:
1. che nel calcio i gay non esistono
2. che comunque non avrebbe problemi a convocare un gay in nazionale
3. che, altrettanto, non avrebbe problemi a convocare un nero in nazionale

Tanto c’è Cannavaro, che lava più bianco…



P.S.
La palla è rotonda ma non è sempre rotonda. A volte c’è dentro un coniglio.
Giovanni Trapattoni
Ex ct della Juventus che vinceva sul campo
Ex ct dell’Inter che non ha vinto niente
Ex ct dell’Italia che non è stata campione del mondo.

martedì 13 gennaio 2009

Ascolta un cretino

Buongiorno a tutti,
oggi torna la rubrica di Mr. Wolf, Ascolta un cretino.

Buona lettura!

KM

Ma…fa freddo!!

di Mr. Wolf

Pazzesco! Il mondo come lo conosciamo era poco fa sull’orlo della sua fine trascinato in una bollitura globale dalle dissennate azioni dei suoi umani virus e tac! ecco che a guastare la festa agli Al Gore veri e nostrani arriva un banalissimo freddo inverno… ; i ghiacciai che si riprendono in un solo anno il 75% della massa che hanno perso negli ultimi 30 anni, il manto glaciale che al Polo Sud raggiunge livelli che mai aveva raggiunto da quando esistono le rilevazioni aeree, e tutto questo senza spendere un centesimo per le “soluzioni strutturali” dei signori di cui sopra.
Forse era il caso di ascoltare prima gli scienziati veri che da sempre dicono che il clima sia regolato dalle fluttuazioni del sole; forse era il caso di leggere tutti i dati a nostra disposizione e non solo quelli sapientemente elaborati da politiche organizzazioni intergovernative come l’IPCC, elevato ad oracolo di Delfi del clima dai media di tutto il mondo; forse facendo così avremmo considerato col buonsenso che se nel 1400 si coltivavano vitigni ai confini della Scozia e nel 1600 si passava coi carri sulla laguna di Venezia ghiacciata evidentemente la storia del nostro pianeta è piena di fluttuazioni del clima ben più importanti di quella con cui hanno inteso spaventarci; forse bastava veramente guardare le temperature medie solo dell’ultimo secolo per accorgersi che fino agli anni 30 faceva caldo, che dal ’40 al ’70 faceva freddo pur essendo il massimo momento di espansione dell’attività industriale mondiale e che la temperatura globale ha iniziato a rialzarsi intorno al ’75, proprio quando il mondo ha vissuto una spaventosa crisi produttiva, e che quindi legare le attività umane al riscaldamento globale ha ben poco di scientifico. Forse pensare è meglio che riempirsi la bocca di belle parolone: global warming, che bel suono pieno, tondo, col suo significato profondo…
Di sicuro diventare un po’ più cosciente e ridurre gli sprechi energetici fa bene, all’umanità più che al clima, perché il modello di sfruttamento che in pochi abbiamo sempre usato sui molti ora più che mai si vede che non può funzionare; però se i soldi che si buttano per essere superficialmente e inutilmente ecologically correct si usassero per, che so, rendere potabile l’acqua di chi non ne dispone o per nutrire e istruire bambini il mondo sarebbe un posto un po’ migliore.

Mr.Wolf

lunedì 12 gennaio 2009

e ancora inviati!

ebbene si,
da oggi parte la rubrica Lunedì Cinema, edita dal nostro amico miike (leggasi miaik...vero miike?? :->)


Prima però volevo fare i complimenti

al Macca: siamo arrivati 4 al torneo misto di ieri!
per me era l'obiettivo, anche se potevamo fare di più...
ma tra lui malatino, ed io che ormai ho una certa età!!
bravo Macca, e grazie!!!mi son divertita a giocare con te!



ed ora vi lascio alla rubrica: Buona lettura!

KM lunedì

Ciao a tutti!

L'intenzione è quella di proporvi ogni lunedì uno spunto per un film da vedere al cinema. In caso doveste rimanere insoddisfatti dopo la visione, per i rimborsi potete tranquillamente rivolgervi alla responsabile del blog :D Giù le luci in sala...


The Millionaire

di Danny Boyle

The Millionaire è una favola contemporanea ambientata nella città di Mumbai, che nel 2008 ha vinto il premio del pubblico al Toronto International Film Festival. Girato nel contesto di un'India in rapida globalizzazione, e costruito attorno al tema del successo della versione locale del programma televisivo Who Wants to Be a Millionaire, il film racconta la storia di un orfano che riesce ad uscire dalla "gabbia" della umilissima condizione sociale di partenza. The Millionaire è una rivisitazione dickensiana del 21° secolo, dove i fumi del carbone dell'Inghilterra vittoriana sono stati sostituiti dalle emissioni dei gas di scarico delle auto e dalla luce dei monitor dei computer e delle televisioni che accompagnano il profondo cambiamento culturale ed economico del paese.

Il personaggio principale del film di Danny Boyle (già regista di pellicole di culto come Trainspotting, 28 giorni dopo e Solaris), è Jamal Malik (Dev Patel), un romantico e idealista "ragazzo del té" senza alcuna educazione formale, che lavora in un call center di Mumbai per una compagnia telefonica inglese. Quando lo incontriamo, all'inizio del film, veniamo a sapere che si trova a una sola risposta dalla vittoria del premio massimo di 20 milioni di rupie messo in palio dalla edizione indiana del celebre programma tv Who Wants to Be a Millionaire. E presto impariamo che Jamal è stato arrestato dalla polizia, in quanto sospettato di aver indovinato le risposte per mezzo di una qualche truffa - solo perchè è un ragazzo che viene dalle periferie, e i ragazzi delle periferie di solito non vanno tanto avanti nel programma. Nelle parole di un poliziotto oltraggiato, "come può un ragazzo del té sapere così tante cose?". Gli immergono la testa nell'acqua, lo appendono ai polsi, lo tortunano con gli elettrodi, ma la polizia non ottiene alcuna confessione: Jamal racconta che sta vincendo perchè conosce le risposte. Per provarlo, racconta la storia della sua vita, mentre sul monitor della stanza degli interrogatori va in onda la registrazione della puntata appena andata in onda.

Strutturalmente, il film alterna scene dell'interrogatorio, del programma televisivo, e dell'esistenza rocambolesca del protagonista, sullo sfondo dei cambiamenti dell'India contemporanea. Seguiamo le vicende di Jamal e del fratello Salim a partire dall'assassinio della madre durante una rivolta religiosa operata da estremisti musulmani, attraverso gli anni dell'infanzia e della gioventù, trascorsi tra accattonaggio e piccoli imbrogli messi in atto per sopravvivere. Incontriamo l'amabile Latika (impersonata da Freida Pinto nella parte finale) e lo spregiudicato Mamam, che rapisce gli orfani e li trasforma, o li deforma, in mendicanti. Nel corso delle vicissitudini del suo passato, Jamal apprende nuovi elementi - una canzone, una nozione di storia, o la posa di una statua Indu - che in seguito gli sarebbero serviti per fornire le risposte alle domande fatte dal perfido condottore del progranmma televisivo. Così rimaniamo ipnotizzati a seguire la storia di Jamal, fatta di povertà, odio tribale, abbandono, sfruttamento, violenza e - per la gioia dei cuori - amore eterno che vince sul male e sulle ferite del tempo.

Sono proprio la dinamicità del racconto è l'impressionante palcoscenico visivo dell'India contemporanea che elevano la pellicola al di sopra degli standard delle produzioni melò di Bollywood, assieme alle caratterizzazioni di alcuni personaggi, come il fratello del protagonista, Salim (Madhur Mittal), spinto da pulsioni opache e carnali, e il presentatore dello show televisivo (Anli Kapoor), con la faccia scafata da esperto giocatore di poker. Il risultato è una pellicola dotata di una verve incredibile: il regista inglese Danny Boyle, che ha lavorato in india con la co-direttrice Loveleen Tandan, porta sul grande schermo un'ironia, una passione e un entusiasmo poliglotta che lo rendono estremamente vivo e appassionante. Quello che sorprende maggiormente è il modo in cui il film riesce a valorizzare anche i suoi cliché più melodrammatici: l'eroe implora la sua amata di fuggire con lui e di vivere "d'amore", e finiamo tutti per credergli.

Non è un film per i deboli di cuore o di spirito. E' assieme travolgente e sanguinario, un tributo idealistico al potese dell'amore e un ritratto scomodo della società classista di Mumbai, della sua criminalità diffusa e delle baraccopoli. In realtà si tratta di un film che tutti, non solo i fan del regista o delle produzioni di Bollywood, dovrebbero vedere: quello che leggiamo nella storia è una contagiosa lettera d'amore alla città di Mumbai, recentemente scossa da terribili fatti di cronaca. Ma anche l'ombra della tragedia non riesce a sminuire l'animo luminoso di The Millionaire, perchè il film non ci risparmia le agonie della separazione. La favola crudele di Jamal, fantastica e pure caratterizzata da un realismo graffiante, ci racconta come sia possibile vivere, ed amare, nonostante (e con) esse.

Visivamente ammaliante e tematicamente profondo, The Millionaire è uno dei migliori film del 2008. Mette in scena una storia contemporanea ed emotivamente coinvolgente, è un film dalla quintessenza fortemente indiana e pure antidoto universale contro problemi endemici che appartengono a tutti, come la tristezza, l'anaffettività, il cinismo, e l'arrivismo sociale, simbolizzato dal successo del gioco televisivo che da il titolo al film di Boyle. E come tutte le favole, questa celebrazione della perseveranza e del trionfo della moralità contiene in sé un'idea più profonda - in questo caso, la natura relativa di quello che pensiamo di sapere, e di quello che realmente vale la pena sapere nella vita. Terrificante, divertente, e soprattutto estremamente vitale, non posso che consigliarne la visione.

9/10.

venerdì 9 gennaio 2009

e oggi musica!

è venerdì, e come di consueto abbiamo la richiesta musicale!

oggi, per esaudire le richieste di B e DTN, abbiamo Janis Joplin, con Cry Baby.

La canzone è contenuta nell'album Pearl, quarto ed ultimo album di Janis Joplin del 1971.
L'album era pronto per essere dato alle stampe ma Janis morì il 4 ottobre e l'album venne pubblicato tre mesi dopo la morte della cantante per eroina.

Per la rivista Rolling Stone, l'album è alla posizione n.° 123 della classifica dei migliori 500 album nella storia della musica. (Wikipedia, ndr)

Buon venerdì e buon week end!

KM

p.s. per le richieste musicali scrivete a killmosquitosblog@gmail.com. Grazie!



CRY BABY
by J.J., 1971

Cry baby, cry baby, cry baby,
Honey, welcome back home.

I know she told you,
Honey I know she told you that she loved you
Much more than I did,
But all I know is that she left you,
And you swear that you just don’t know why,
But you know, honey I’ll always,
I’ll always be around if you ever want me
Come on and cry, cry baby, cry baby, cry baby,
Oh honey, welcome back home.

Don’t you know, honey,
Ain’t nobody ever gonna love you
The way I try to do ?
Who’ll take all your pain,
Honey, your heartache, too ?
And if you need me, you know
That I’ll always be around if you ever want me
Come on and cry, cry baby, cry baby, cry baby,
Oh daddy, like you always saying to do.

And when you walk around the world, babe,
You said you’d try to look for the end of the road,
You might find out later that the road’ll end in Detroit,
Honey, the road’ll even end in Kathmandu.
You can go all around the world
Trying to find something to do with your life, baby,
When you only gotta do one thing well,
You only gotta do one thing well to make it in this world, babe.
You got a woman waiting for you there,
All you ever gotta do is be a good man one time to one woman
And that’ll be the end of the road, babe,
I know you got more tears to share, babe,
So come on, come on, come on, come on, come on,
And cry, cry baby, cry baby, cry baby.

And if you ever feel a little lonely, dear,
I want you to come on, come on to your mama now,
And if you ever want a little love of a woman
Come on and baby baby baby babe babe baby now
Cry baby yeah.

giovedì 8 gennaio 2009

Politica estera: la guerra in Palestina

In questi giorni non si fa altro che parlare di questo.

Le ostilità sono riprese
non c'è più la "tregua" (c'è mai stata?)
Israele reagisce
si fa la guerra
e i civili muoiono.
in quantità esagerate

c'è chi dice che la guerra lì non finirà mai
che è una 'zona rossa' dove le tensioni internazionali trovano sfogo
e che per questo forse 'conviene' che stia lì
altrimenti sarebbe più vicina a noi
con morti 'più importanti' (madonna santa, perdonatemi..è una provocazione...ma anche l'illustrissimo re d'italia - SB, ndr - ha detto che in medio oriente sono cent'anni indietro..) e più 'lontani' dalla nostra cultura e dalla nostra vita.

c'è chi dice che hanno rotto,
che sono anni e anni che sta guerra va avanti
e che alla fine, massì, che si ammazzino da soli tutti.
poi denuclearizziamo l'area
e basta

ieri leggevo questo articolo che vi ripropongo, di questo francese, Henry-Levy, sul corriere.

All'inizio ho iniziato a leggerlo con rabbia
mi sembrava il solito 'europeo' che commenta non tenendo conto, alla fine,
che la gente muore a mucchi
per che cosa non si è ancora capito bene.
poi, invece, ho cercato di riflettere su ciò che ha scritto,
creando una mia opinione su ogni singolo punto dell'articolo.

le troverete in calce, perchè è giusto che io mi esponga, e non faccia solo da 'provocatore'. Ma dopo l'articolo perchè non voglio anticipare ne condizionare la vostra opinione.



Ostaggi di Hamas

di BERNARD HENRY-LEVY


Non essendo un esperto militare, mi astengo dal giudicare se i bombardamenti israeliani su Gaza potevano essere più mirati, meno intensi. Poiché da decenni non sono mai riuscito a distinguere fra morti buoni e cattivi o, come diceva Camus, fra «vittime sospette» e «carnefici privilegiati», sono evidentemente sconvolto, anch'io, dalle immagini dei bambini palestinesi uccisi. Detto questo, e tenuto conto del vento di follia che, una volta di più, come sempre quando si tratta di Israele, sembra impadronirsi di certi mass media, vorrei ricordare alcuni fatti.

1) Nessun governo al mondo, nessun altro Paese se non l'Israele attuale, vilipeso, trascinato nel fango, demonizzato, tollererebbe di vedere migliaia di granate cadere, per anni, sulle proprie città: in questa vicenda, la cosa più sorprendente, il vero motivo di stupore non è la «brutalità» di Israele, ma, letteralmente, il fatto che si sia trattenuto così a lungo.

2) Il fatto che i Qassam di Hamas, e adesso i suoi missili Grad, abbiano provocato così pochi morti non prova che siano missili artigianali, inoffensivi o altro, ma che gli israeliani si proteggono, vivono rintanati nelle cantine dei loro edifici, nei rifugi: un'esistenza da incubo, in sospeso, al suono delle sirene e delle esplosioni. Sono stato a Sderot, lo so bene.

3) Il fatto che le granate israeliane facciano, al contrario, tante vittime non significa, come sbraitavano i manifestanti dello scorso week-end, che Israele si abbandoni a un «massacro» deliberato, ma che i dirigenti di Gaza hanno scelto l'atteggiamento inverso, di lasciare quindi le loro popolazioni esposte: una vecchia tattica dello «scudo umano » che fa sì che Hamas, come Hezbollah 2 anni fa, installi i propri centri di comando, i depositi d'armi, i bunker nei sotterranei di abitazioni, ospedali, scuole, moschee. Tattica efficace ma ripugnante.

4) Fra l'atteggiamento degli uni e quello degli altri esiste comunque una differenza capitale che non hanno diritto di ignorare coloro che vogliono farsi un'idea giusta e della tragedia e dei mezzi per porvi fine: i palestinesi sparano sulle città, in altre parole sui civili (e questo, in diritto internazionale, si chiama «crimine di guerra»); gli israeliani prendono come bersaglio obiettivi militari e, senza volerlo, provocano terribili danni civili (e questo, nel linguaggio della guerra, ha un nome: «danni collaterali» che, se pur orrendo, rimanda a una vera dissimmetria strategica e morale).

5) Poiché bisogna mettere i puntini sulle i, ricordiamo ancora un fatto al quale stranamente la stampa francese non ha dato risalto e di cui non conosco alcun precedente, in nessun'altra guerra, da parte di nessun altro esercito: le unità de Tsahal, durante l'offensiva aerea, hanno sistematicamente telefonato (la stampa anglosassone parla di 100.000 chiamate) ai cittadini di Gaza che vivono nei pressi di un bersaglio militare per invitarli ad andarsene. Che questo non cambi nulla rispetto alla disperazione delle famiglie, alle vite stroncate, alla carneficina, è evidente; ma che le cose si svolgano così non è, tuttavia, un dettaglio totalmente privo di senso.

6) Infine, quanto al famoso blocco integrale, imposto a un popolo affamato, che manca di tutto e precipitato in una crisi umanitaria senza precedenti (sic), di fatto non è proprio così: i convogli umanitari non hanno mai smesso di transitare, fino all'inizio dell'offensiva terrestre, per il punto di passaggio Kerem Shalom; solamente nella giornata del 2 gennaio, 90 camion di viveri e di medicinali hanno potuto, secondo il New York Times, entrare nel territorio. Tengo a ricordare (infatti, è inutile dirlo, anche se, secondo alcuni, sia meglio dirlo…) che gli ospedali israeliani continuano, nel momento in cui scrivo, ad accogliere e curare, tutti i giorni, i feriti palestinesi. Speriamo che i combattimenti cessino al più presto. E speriamo che al più presto i commentatori tornino in sé. Allora scopriranno che sono tanti gli errori commessi da Israele negli anni (occasioni mancate, lungo diniego della rivendicazione nazionale palestinese, unilateralismo), ma che i peggiori nemici dei palestinesi sono quei dirigenti estremisti che non hanno mai voluto la pace, mai voluto uno Stato e hanno concepito il proprio popolo solo come strumento e ostaggio (immagine sinistra di Khaled Mechaal il quale, il 27 dicembre, mentre si precisava l'imminenza della risposta israeliana tanto desiderata, non sapeva far altro che esortare la propria «nazione» a «offrire il sangue di altri martiri», e questo lo faceva dal suo confortevole esilio, ben nascosto, a Damasco). Oggi, delle due l'una. O i Fratelli musulmani di Gaza ristabiliscono la tregua che hanno rotto e dichiarano caduca una Carta fondata sul puro rifiuto dell'«Identità sionista», raggiungendo il vasto partito del compromesso che, Dio sia lodato, non smette di progredire nella regione, e allora la pace si farà. Oppure si ostinano a vedere nella sofferenza dei loro compagni solo un buon carburante per le loro passioni riacutizzate, il loro odio folle, nichilista, senza parole, e allora bisognerà liberare non solo Israele, ma i palestinesi, dall'oscura influenza di Hamas.


Allora, forte ne?
ecco qualche commento personale..

1. sorvoliamo. non mi sembra che abbia bisogno di commento. capiamo le cause o li bombardiamo? bombardiamo. così non si finisce mai. facile, direte voi...ma è la verità.

2. va bene, ci sta. Quelli di Hamas son dei fanatici, ma la guerra è impari. perchè non togliamo A TUTTI le armi? così fanno delle belle scazzottate, e chi vince vince. no, eh? già...sennò noi occidentali (inclusi i russi..) come ci guadagnamo?

3. la guerra è guerra. ma il fine, giustifica i mezzi? in entrambi i casi...

4. ma chi te lo ha detto???????? ma come fai a stabilire ciò?

5. ehm, mi scusi signorina, può lasciare un attimo la sua casa, che abbiamo deciso di lanciare delle bombe lì a 100 mt? ...mmmm

6. mi viene in mente una scena vista in tv: un camion con 10 pezzi di pane, e 100 persone che si dimenavano, picchiavano, per prenderne un misero pezzo..

Si, speriamo che tutti rinsaviscano. e speriamo che la tolleranza diventi uno dei must in quelle terre disperate.
e speriamo che la gente diventi sempre più colta,
e che non creda più nella religione
e non faccia più guerre.. di religione
mai più.
estremista, forse.
ma che cosa ha di positivo sta religione?
fanatismi e guerre. sempre. dalla notte dei tempi.
cattolici, musulmani, islamici, etc etc
nessuno escluso.

ma scusate, se proprio dobbiamo fare una guerra
facciamola in nome del GAS!
si, del GAS, che almeno non moriamo di freddo d'inverno!:-)

Della religione, chissenefrega?
ma forse, son troppo "atea".
c'è un cattolico tra di voi che possa spiegarmi quello che io non comprendo?

grazie

KM incazzata

mercoledì 7 gennaio 2009

BUON ANNO..

a tutti!
ed eccoci qua, pronti per un nuovo anno frizzante!!

oggi, come ogni mercoledì, la nostra cara Ele ci racconta La verità dell'alligatore, un libro di Massimo Carlotto.

Ma prima, data la nevicata su Milano, fantastica, volevo raccontarvi brevemente cosa mi è successo!
Parto da casa, decido di prendere la metro verde e non attraversare il parco sempione, come ultimamente faccio quando c'è neve.
Arrivo a Loreto, annunciano che causa guasto la verde subirà ritardi indefiniti in tutte le direzioni.
Rimonto sulla rossa, vado a Cairoli e decido di attraversare il parco.
Bellissimo.

Faccio foto qua e là
sento il rumore della neve sotto i miei passi,
affondo

gli alberi carichi di neve
le panchine sommerse...

arrivo comunque dall'altra parte del parco
e vedo delle persone che si aggirano vicino alla recinzione:
le uscite erano tutte chiuse!!
essì, per motivi di 'sicurezza'
- così ha risposto la sicurezza del parco alla telefonata di una delle persone che insieme a me cercavano disperatamente un'uscita-
non le avevano aperte!
peccato che all'ingresso del castello,
unico accesso aperto al parco,
non ci fosse neppure un cartello con su scritto 'parco chiuso'!

morale: io e un'altra decina di persone, chiuse nel parco in cerca di un'uscita!
20 minuti
e siamo tornati tutti indietro!

comunque è stato divertente!

e adesso, vi lascio alla Rubrica di Ele: buona lettura!

KM white

La Verità dell’Alligatore
Massimo Carlotto – Edizioni E/O


Oggi gioco in trasferta.
Parlo di un noir, un genere che non amo particolarmente, soprattutto nella sua versione americana – detective, fumo e alcol.

In Europa e in Italia, in realtà, il noir non ha grande tradizione, anche se c’è che parla di noir mediterraneo, a cui si riconducono

autori come Jean Claude Izzo e, appunto, Massimo Carlotto.

Izzo, autore marsigliese morto nel 2000 a soli 55 anni, è l’autore della trilogia noir (Casino Totale, Chourmo e Solea) che vede protagonista Fabio Montale e di 2 romanzi, Il Sole dei Morenti e Marinai Perduti, che riprendono il clima, la disperazione e la dolenza mediterranea della trilogia.
Bellissimi, tutti. Ma troppo mediterranei per parlarne sotto zero e sotto la neve.

Carlotto invece ambienta i suoi noir nel nord est italiano, un nord est ricco, opulento e perbenista in cui, però, dietro alla facciata di eleganza e decoro dei bravi cittadini / buoni cristiani, si nascondono vizi e perversioni che, quando minacciano di venire a galla, possono condurre anche all’omicidio pur di salvare onore, relazioni e portafogli.
Ovviamente facendo ricadere la colpa su chi vive al di fuori del perimetro della società bene – e non può per questo avere diritti né dignità.

La Verità dell’Alligatore racconta un’indagine che si muove su due piani.

Nel primo, nascosto e ai confini della legge, si muove l’Alligatore, investigatore privato specializzato in indagini ufficiose e parallele, che si trova questa volta a indagare sull’omicidio di una professoressa senza vizio e senza peccato, del quale è accusato un tossico appena uscito di galera dopo aver scontato una lunga condanna per un omicidio analogo del quale, analogamente, si è sempre dichiarato innocente.
L’indagine parallela è condotta dall’Alligatore con la collaborazione di personaggi che, come lui, hanno un passato di galera e vivono oggi sì nella legalità ma sempre ai confini della società ufficiale.

Il secondo piano è invece quello delle indagini di polizia e della Padova bene, dei professionisti e dei circoli chiusi, di quella parte della città che inizialmente sembra essere vittima indifesa della piccola criminalità di provincia e che, alla fine, si dimostra essere carnefice, colpevole e vicina alla grande criminalità organizzata.

La storia si sviluppa lentamente e, piano piano, portando alla luce la verità dei fatti – quella extra-processuale – svela vizi e mancate virtù del nord est italiano.
Dove l’apparenza conta più di tutto e dove l’essere buoni cittadini e persone rispettabili sono qualità che finiscono dove finisce la società bene.
Chi ne sta fuori, per scelta o per destino, non conta.
Viene ignorato, calpestato e, quando serve, strumentalizzato e poi stigmatizzato come simbolo di quel marciume che non deve intaccare i salotti buoni.
Quegli stessi salotti buoni dove, però, la grande criminalità organizzata ha libero accesso ed è ospite tanto gradita quanto abituale.
Bella la contrapposizione continua tra due livelli:
verità processuale e verità dei fatti;
buoni cittadini che vivendo all’interno della legge la irridono e la infrangono e cittadini fuorilegge che vivendo ai confini della società la conoscono meglio di chi la abita assiduamente;
verità appurata ma mai rilevata.

Bella la realtà vista dal punto di vista opposto a quello cui siamo abituati.

Bello il modo in cui Carlotto, senza fare nomi e cognomi e senza fare allusioni a niente e a nessuno, ci racconta quello che è successo nel nord est e, piano piano, si sta diffondendo in tutto il Nord (e non solo Italia).

Cosa manca per farne anche un libro memorabile?
Secondo me due cose – la città e i personaggi.
Il lettore sa di essere a Padova solo perché gli viene detto; la città non emerge mai e anche i suoi abitanti, i veri colpevoli del malessere generale della città, non hanno volto né storia.
Così come non hanno volto né umanità i protagonisti veri del romanzo, che rispondono a tutti gli stereotipi del noir – investigatori privati, fuorilegge e dannati, alcol e amori persi che non tornano più – ma non ci dicono mai chi sono davvero.

Ma forse per conoscere meglio l’Alligatore e i suoi compari, bisognerebbe leggere anche le altre storie di Carlotto.

Per chiudere un consiglio per la non lettura.
Né qui né altrove, opera ultima di Gianrico Carofiglio.
Bel titolo, copertina accattivante, prezzo interessante (10 €), cento e passa pagine di buonismo para-veltroniamo e di elucubrazioni mentali da far invidia a un adolescente troppo riflessivo convinto di star scrivendo il capolavoro del secolo.
I 10 € peggio spesi del 2008?